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Articolo estratto da L’Arena.it

IL PRIMO COLOMBO

NAVIGATORI. Un libro celebra il vero pioniere delle rotte oceaniche

Lanzarotto Malocello, il genovese che nel 1300 scoprì le Isole Canarie: mai prima era stata trovata terra oltre Gibilterra, nell’Atlantico che svelerà le Americhe.

 

 

Enrico Principi Lusitano Novas Terras Perquirenti Magno Adjumento fuit Aloysius a Musto, Qui Anno MCCCCLVI Insulas Promontorii Viridis Aut Primus Invenit Aut Inter Primos Invisit. Hinc Ierato Cursu Perlustrata Africae Parte, Detectas a Lusitanis Regiones, Tum Suis Tum Alienis Itinerariis Evulgatis In Publicam Lucem Eduxit. Così, in lettere di marmo, la Serenissima Repubblica, nella Sala degli Scudi di Palazzo Ducale, rendeva omaggio ad Alvise di Ca’ da Mosto (Venezia 1429-1488), navigatore ed esploratore che, meglio di ogni altro, contribuì alla conoscenza dell’Africa Occidentale.

Lo aveva ingaggiato il Principe di Sagres, Enrico il Navigatore (Oporto, 1394-Sagres 1460), il più illuminato e fecondo sponsor delle scoperte geografiche che fecero del Portogallo una potenza marinara di primo livello, paragonabile alla Spagna e all’Inghilterra. La storia vuole che Alvise di Ca’ da Mosto abbia scoperto le Isole di Capo Verde. Una parte degli studiosi discute a riguardo attribuendone la paternità a un altro navigatore italiano, Antonio da Noli e al suo amico e collaboratore Diogo Alfonso.

Molti anni prima, nel 1291, i fratelli genovesi Ugolino e Vadino Vivaldi salpavano da Genova ad partes Indiae per mare Oceanum, e non, dunque, attraccando in Egitto, Siria, Mar Nero per proseguire in carovana attraverso la Persia e la Tartaria sino all’India. Era convinzione, meglio, certezza diffusa, che l’Africa non fosse circumnavigabile, che non esistesse alcuna via di comunicazione tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano, nonostante Seneca (4 A.C.-65 D.C ) avesse scritto, nelle Naturales Quaestiones: «Quantum est enim, quod ad ultimis litoribus Hispaniae usque ad Indos jacet? Paucissimorum diebus spatium, si navem suus ferat ventus». Lo storico De La Roncière, nel saggio La decouverte de l’Afrique, rimarca: «Le Portulan Normal surgit le jour où toutes les cordonnées pour le tracer furent au point. Cette mise au point fut l’oeuvre des Génois». Lo stesso mondo arabo riconosceva il primato italiano. Nel 1317 Suleiman Daud utilizzò un mappamondo, bab-mandu, disegnato da italiani, per illustrare il suo Giardino dei sapienti; una mappa dell’Asia Minore fu richiesta al cartografo Domenichino d’Oria, autore anche di carte della Catalogna, dal soldano d’Egitto.

Certo è che l’isola di Lanzarote prese il nome da Lanzarotto Malocello, navigatore nativo di Varazze, menzionata telle quelle già nel 1339 sulla carta di Angelino Dulcert; presente nell’Atlante Catalano di Abramo Cresquez, nel planisfero di Bartolomeo Pareto del 1455, e ancor prima, in quello di Mecia de Viladestes del 1413. Malocello è uno dei tanti e uno dei pochi, allo stesso tempo, ascrivibili alla schiera degli italiani non santi non poeti ma navigatori. Un libro lo ricorda, a firma di Alfonso Licata (prefazioni di Franco Cardini e Francesco Surdich) edito dal ministero della Difesa nel settimo centenario del viaggio che portò, appunto, il genovese, ad approdare a Lanzarote. Il nemo propheta in patria vale anche per Lanzarotto. I navigatori italiani dovettero, tutti, ottenere un ingaggio dalle corone straniere. La Spagna per Pigafetta, Colombo, Sebastiano Caboto. L’Inghilterra per il padre Giovanni e, ancora, molti anni dopo, per Sebastiano. Il Portogallo per Alvise di Ca’ da Mosto e Antoniotto Usodimare, la Francia per Giovanni da Verrazzano, il Portogallo e la Spagna per Amerigo Vespucci. Ingaggiati per il loro valore, di navigatori e cartografi. Il mondo si apriva alle spezie e alle acque incognite. Non c’era grande potenza economica che potesse accettare di restare esclusa dalla grande corsa.

Poco importa se effettivamente sia stato Malocello il primo europeo a calcare il suolo di Lanzarote. Per «scoprire» intendiamo avvistare, approdare o prendere possesso? Sappiamo che i Grand Banks su cui approdò teoricamente per primo Giovanni Caboto erano, da tempo, segreto approdo dei pescatori inglesi. Ma la storia è storia comunque e mai contributo è stato fecondo come questo di cui scriviamo a proposito di Malocello, arricchito da una messe di dati e rimandi documentali e iconografici eccellente, e scritto con la verve di un romanzo. Questo per dire quali fossero le aspettative dei mercanti oltreché dei regnanti, verso le nuove scoperte, che avrebbero sottratto all’incognito terre da esplorare, colonizzare, con cui intrattenere proficui traffici. Nientemeno che Giovanni Boccaccio scrive diffusamente dell’esplorazione commerciale alle Canarie di Niccoloso da Recco e di Angiolino dei Corbizzi, iniziata nel 1341 da Lisbona, punto di rifornimento non solo dei genovesi e dei fiorentini ma dei veneziani per le rotte a Nord: Bordeaux, Calais, Londra, Southampton, Ostenda, Antwerp (Anversa).

Sta di fatto che immediatamente o quasi, quell’isola vulcanica battuta dal vento, prese nome dal cognome dell’uomo di mare genovese. Lo studioso Andrea da Mosto, discendente del navigatore, pubblica a Roma nel 1893, per la Società Geografica Italiana, Il Portolano attribuito ad Alvise di Ca’ da Mosto, di cui copia è conservata alla Biblioteca Marciana, estratto dal Bollettino della Società del giugno-luglio di quell’anno. «Queste ixole de Canaria sono dexe; zoè sette habitade, tre dessabitade. Le habitade sono queste: la prima à nome Lanzaroto, la seconda si è Forte Ventura, la terza Gran Canaria, la quarta Teneriffe, la quinta Gomera, la sesta La Palma, la septima El Ferro; notando che de queste sette ixole, le 4 sono habitade da cristiani; zoè Lanzarote, Forte Ventura, La Gomera, El Ferro; le altre tre sono de idolatri. El signore del tute queste ixole habitade da cristiani si à nome Ferera, zentilhomo e cavalier de la cità de Sibilia, et è sozeto al re de Spagna». Malocello, dunque, non è più soltanto un nome o un’ipotesi. Alfonso Licata ne ha seguita la scia sino al più recondito degli archivi di famiglia. Dal blasone al testamento all’albero genealogico. Nel salso groppo di vento che riporta indietro la clessidra di 700 anni.

Donatello Bellomo


 

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